(da MIO PADRE LITTLE TONY di Teresa Giulietti &Cristiana Ciacci – BERTONI editore)
La mia fame era insaziabile, ci fosse stato un farmaco capace di ammansirla, lo avrei pagato oro pur di averlo.
Fame di attenzione. Di sguardi accorti. Di calore. Di famiglia.
Sbavavo dietro a quelle in apparenza perfette che vedevo in certe serie tv, o sui giornali di attualità. Radunate in giardino o attorno a una tavola ben apparecchiata: un incrocio di braccia che stringono, mani che si cercano e sorrisi. Grappoli di sorrisi. Festoni di sorrisi. Allora mi chiedevo perché attorno a me non si sorridesse più.
Più fame avevo di parole affettuose, di piccoli gesti, e più tentavo di controllare tutto quello che potevo controllare: il mio corpo, le mie cosce, i fianchi, il cibo che mettevo nel piatto, quello che buttavo via, la bilancia, il frigorifero, le bottiglie di acqua che bevevo ogni giorno e la sensazione di uno stomaco pieno, sul punto di esplodere, che per qualche momento sedava la mia ansia.
Mentre stringevo la griglia delle mie stupide regole sognavo di essere al centro della vita di qualcuno, la sua ragione di vita. Che mi portassero rose rosse e scrivessero versi d’amore per me, che le stelle dal cielo si mettessero a intonare il mio nome. Cristiana, la Principessa dell’Amore. Della fame perenne.
In certi momenti mi rendevo conto di quanto fossi fragile e precaria; un colapasta arrugginito, una farfalla dall’ala spezzata: ma chi diavolo si sarebbe potuto fidare di una come me? Io no. E invece sì! Dovevo fidarmi. A furia di fidarmi di me stessa la mia identità sarebbe sbocciata come un fiore nel deserto. E io volevo dimostrare a tutti che meglio di me non c’era nessuno, in giro. Che io sarei stata in grado di rendere felice chiunque mi passasse accanto, così come sarei stata capace di risorgere dal buio.
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